Sono tanti i fattori che ne condizionano (o ne impediscono) lo sviluppo.
Personalmente la ritengo una ricerca affascinante, poetica, prima di tutto per i colori ed i profumi tipici del periodo in cui si va a cercarlo.
Entrare nel bosco all’alba con la nebbiolina attaccata alle ragnatele, le gocce di rugiada nell’erba, le foglie gialle e rosse di cui l’autunno si veste, già questa è un’emozione sufficiente a giustificare la levataccia e le lunghe camminate.
Poi mettiamoci pure la complessità del ritrovamento e l’azione del cane nella cerca.
Il tartufaio sa in quali luoghi condurre il cane, ma non sa esattamente il punto preciso. Ricordo i primi anni quando Nonno Gino mi diceva: “Segui il cane, fidati, lui sa dove nasce, sa dove andare”.
Col tempo si scoprono posti, si vedono le tracce, si diventa più esperti, si costruisce il proprio archivio (anche io lo faccio: segno in un libro, giorno per giorno, la data dei rinvenimenti, il posto, la pianta, la forma ed il peso; se mio figlio Tommaso lo vorrà, sarà una sua eredità). Ogni stagione si ripete la stessa cosa: alla sera, prima di andare a letto, rileggo il libro studiando il percorso del giorno seguente, sperando di ritrovare in quel bosco o in quel fosso il tartufo dell’anno passato.